Umanità umile quinto incontro
Commissione formazione Ofs Regione Piemonte
Anno fraterno 2022-2023
Quinto incontro dell’anno “Umanità umile”
CUSTODIRE IL MONDO di Donato Mastrangelo
Il creato va curato e a sua volta cura l’essere umano. La Scrittura è illuminante nell’affidarci la custodia della Terra, eppure spesso rifiutiamo di credere e attuare la Parola: “Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?” (Gv 3,12): Cristo stesso sa di questo nostro peccato e lo rinfaccia a Nicodemo. Ma non si stanca di ripeterci che siamo figli della Luce, che dobbiamo rinascere dall’Alto, cioè che dobbiamo abbandonare i pensieri e le azioni che partono dal basso, dalla parte più oscura della nostra umanità.
Rileggiamo il Cantico delle Creature, meditiamo la Laudato si’, approfondiamo i temi della Fratelli tutti, per applicarne i sani principi. Saremo bocca, braccia e piedi nella Luce e per la Luce. Forse saremo derisi, cacciati, accusati. Non ci arrenderemo, la Luce sarà la nostra forza.
TESORO DI TERRA, ACQUA, ARIA, FUOCO di Marco Bartoli
Lo Speculum Perfectionis descrive molto bene le circostanze in cui Francesco compose il Cantico delle Creature o Cantico di frate Sole (FF 1799).
L’uomo che compone questo cantico è sofferente e tormentato. Francesco percepisce anche che la sua morte è vicina. Ha soltanto 43 anni, ma il suo fisico è fiaccato da una vita spesa per strada senza una fissa dimora. Per questo fa sua la preghiera del Salmo: Signore, vieni presto in mio aiuto.
La risposta è stupefacente:
E subito gli fu detto in spirito: “Dimmi fratello: se qualcuno per queste tue tribolazioni infermità ti desse un tesoro così grande e prezioso, che tutta la terra fosse un nulla al suo confronto, non ne saresti felice?” Francesco rispose:” Signore, un simile tesoro sarebbe davvero grande e prezioso, meraviglioso e desiderabile”. E sentì nuovamente quella voce: “Dunque, fratello, sii lieto e felice nelle tue malattie e tribolazioni, e d’ora in poi vivi nella sicurezza come tu fossi già in possesso del mio Regno”.
Questa risposta viene abitualmente interpretata come una certificatio, cioè un’assicurazione da parte di Dio dell’accoglienza di Francesco in Paradiso dopo la morte. Ma la voce che risponde a Francesco lo invita a vivere “come se tu fossi già in possesso del mio Regno” sin da ora. In altri termini la risposta interiore che Francesco riceve a consolazione delle sue infermità è che, pure in mezzo ad esse, egli è destinato sin d’ora di un tesoro così grande e prezioso che tutta la terra è nulla in confronto. Questo tesoro è la rivelazione che Dio è altissimo, onnipotente e buono e tutto il creato è il Regno che ha preparato per l’uomo. Per questo il mattino seguente Francesco proclama ai compagni che erano con lui: “Io devo godere molto per le mie infermità e tribolazioni, trarne conforto nel Signore e rendere sempre grazie a Dio Padre e al suo unico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo e allo Spirito Santo per la grazia così grande a me concessa: che cioè si sia degnato di dare la certezza del suo Regno a me indegno servo suo ancora vivente e rivestito di carne. Voglio perciò, a lode di Lui, a nostra consolazione e edificazione del prossimo, comporre un nuovo Cantico delle creature del Signore di cui ci serviamo ogni giorno e senza delle quali non possiamo vivere e nelle quali il genere umano molto offende il suo Creatore. Noi siamo continuamente ingrati di così grandi favori e benefici, non lodando come dovremmo il Signore, creatore e datore di tutti i beni”.
Inizia a cantare le creature proprio da dove gli venivano le più alte sofferenze: la luce del sole e, poco più sotto per fratello fuoco, che illumina la notte. Solo chi ha perso il dono della vista capisce con questa intensità il dono della luce. E poi la luna con le stelle, che Francesco chiama “chiare e preziose e belle” e sono state create da Dio nel cielo. E poi via via il vento, l’aria, il cielo, l’acqua. Ed infine “sorella madre terra” che ci dà nutrimento e ci governa. Tutto questo è il Regno che Dio ha creato nel quale ha posto l’uomo perché qui possa vivere.
La gioia della scoperta del Dio altissimo onnipotente e buono, che si prende cura di ogni essere vivente attraverso le sue creature, induce a vedere anche le sofferenze come una cosa piccola. Per questo “Beati quelli che le sopporteranno serenamente, perché dall’Altissimo saranno premiati”.
Qui però il cuore di Francesco fa un salto che ci lascia senza parole. Se tutte le creature sono sorelle e fratelli di noi esseri umani perché tutti siamo figli dell’Altissimo, allora anche la morte, dalla quale nessun essere umano può scappare, diviene una sorella. Beati gli uomini che troveranno la morte mentre stanno rispettando le volontà di Dio perché la morte spirituale non farà loro alcun male.
POCHI, ISPIRATI, ALTISSIMI VERSI di fra Carlo Basile
È la più bella composizione poetica di tutto il mondo e di ogni tempo. La sua è una bellezza assoluta, cosmica totale. Penetra tutto il creato e arriva quasi a lambire l’ineffabile di Dio. Nemmeno il Salomone del Cantico dei Cantici, che pure per tanti versi gli somiglia e al quale senza dubbio Francesco si è ispirato, nemmeno il Dante della preghiera di San Bernardo a Maria sono arrivati tanto in alto e così in profondo. Era il 1224, e Francesco giaceva ammalato su un lettuccio di San Damiano, la chiesetta diroccata dove una ventina di anni prima aveva ricevuto dal Cristo crocifisso il messaggio che aveva cambiato la sua vita e dove erano adesso insediate Chiara e le sue sorelle. I grandi interpreti del Povero d’Assisi hanno scritto molto su di lui, sugli ultimi anni della sua giornata terrena, sul suo rapporto con Chiara e le altre, e di quegli stessi pochi ispirati altissimi versi. Sappiamo tutto ciò che si può sapere. Ma lasciamo da parte tutta quella scienza. Sforziamoci di immaginarlo, quel povero piccolo uomo smagrito dopo una notte di dolore e di pena, tra i rumori dei topi sotto il pavimento che non lo hanno lasciato dormire, quando il sole nascente dell’alba ferisce i suoi occhi malati e glieli fa lacrimare. Sforziamoci di vedere il mondo, le povere suppellettili di quella stanzetta, la luce incerta e pur abbagliante attraverso quegli occhi ormai in grado di distinguere forse appena poco più che delle ombre. E scrive, o meglio detta perché di scrivere non ha la forza. Non sappiamo a chi. Scrive di getto parole che gli salgono direttamente dal cuore: amiamo credere che da allora sino a quando sul punto di lasciare questa terra detterà la quartina finale su sorella Morte dalla quale nullo homo vivente po’ skappare egli non abbia cambiato nulla di quel perfetto canto d’amore. Nella loro luminosa chiarezza quei pochi versi appaiono ineffabili come Colui in onore del quale sono stati scritti. Lo Spirito soffia dove vuole: e quella mattina ha soffiato su quel povero frate e sui suoi occhi arrossati che hanno finalmente visto il mistero dell’universo. Quelle parole parlano di Dio, della Sua Gloria, della Sua infinita Maestà, della Sua carità infinita, della Sua incommensurabile distanza rispetto agli uomini eppure della forza con la quale egli sa arrivare a loro, e soprattutto a quelli tra loro che sanno perdonare per amor Suo, attraversando tutto il creato, cioè l’universo: Messer lo Frate Sole, immagine nobilissima di Dio e la luna e le stelle e quindi quattro elementi di cui la materia del mondo è costituita – il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra con i suoi fiori e i suoi frutti.
Ad un’attenta lettura il Cantico delle creature è appunto un inno di lode perché è scritto in lode del Creatore, e anche in loro lode, e in lode dell’uomo che tra le creature è la somma, la più amata, quella fatta “a Sua immagine e somiglianza” ma che pur sempre resta creatura, sorella pertanto di tutte le altre.
L’esegesi di questi straordinari versi non finirà mai, proprio come il mistero della creazione e quello di Dio. Papa Francesco ha voluto dedicare a quella lode infinita a Dio creatore e al creato la sua enciclica Laudato si’ per ricordarci che l’uomo proprio secondo la lettera e lo spirito della Genesi non è il padrone dell’universo ma che ne è il guardiano, il custode; e che alla fine dei tempi, come ciascuno di noi dovrà riconsegnare a Dio la sua anima concessagli immacolata da lui e più volte sporcata e strappata, ricucita e ripulita, l’umanità dovrà riconsegnargli il creato che è stato concesso all’uomo per goderlo in tutta la sua bellezza e nella varietà infinita delle sue luci dei suoi profumi e dei suoi sapori; ma che non gli è stato dato come un osceno balocco da violare e da prostituire, come un’immonda merce da vendere e comprare, e su cui speculare. Il creato appartiene a tutti gli esseri umani e soprattutto agli Ultimi della Terra.
IL MISTERO GAUDIOSO DELLA VITA di Giovanna Abbagnara
“Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode” (LS 12) La realtà che ci circonda non è sempre e solo un problema. Contiene in sé la traccia del mistero di Dio. Prima delle analisi sociologiche, politiche, psicologiche che mettono in luce le difficoltà, decretano le soluzioni, suggeriscono le strade, dobbiamo riconoscere la presenza di Dio nella storia. Avere occhi contemplativi. Accorgersi del Dio che ci vive accanto. E gioire di questa presenza.
Il Papa parla di “mistero gaudioso” in riferimento al mondo. La mia mente subito è andata al Rosario. A quella meravigliosa preghiera che ci permette di ripercorrere la storia della salvezza in compagnia di Maria. Una preghiera che amo recitare passeggiando nella natura quando è possibile, ma anche se sono in treno o nella metro o mi sto recando al supermercato. Voglio dire cioè che il Dio che preghiamo è un Dio incarnato, è un Dio che certamente possiamo sentire più vicino davanti all’immensità del mare o passeggiando in un bosco pieno di alberi e fiori, ma è lo stesso Dio che si rende presente nelle corse quotidiane tra il lavoro i figli a scuola, l’insegnamento, la parrocchia. Ciò che è del mistero gaudioso accende il cuore “alla letizia e alla lode” non è ciò che è intorno a noi ma lo sguardo con cui viviamo ogni singolo istante della nostra vita. È questo che ci fa vivere “in armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso”. (LS 10)
Dobbiamo dunque recuperare lo sguardo verso la realtà (LS 11). Lo stupore per la realtà, intesa come spazio dell’ecologia integrale preserva la nostra relazione con gli altri e con il mondo ponendoci nell’atteggiamento “di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà”. (LS 12)
Questo sguardo ci fa fare anche l’esperienza del limite. Non possiamo in modo arbitrario vivere la relazione con il nostro corpo, con gli altri, con la natura e l’ambiente che ci circonda come dei padroni e dei consumatori, ma come dei collaboratori all’opera creatrice di Dio. L’amore non è qualcosa di generico, l’amore è particolare, è un frammento preciso, è un dettaglio delimitato. Quando si ama, non si ama in modo generico. Si ama quel volto, quelle mani, quella persona.
L’esperienza dell’amore vero non è quella che ci libera dai limiti, ma è quella che ci fa essere felici nel limite, nel rispetto nel comandamento. San Francesco quando pregava diceva: “Signore chi sei tu e chi sono io? Tu sei Dio e io non sono niente”. Ma niente amato, custodito come la cosa più preziosa al mondo. Meno è di più, dice il Papa. È dunque troppo poco ridurre l’Enciclica del Papa a un mero rispetto di ciò che ci circonda. La conversione ecologica che Francesco auspica e il riconoscimento di una sacralità, di un’impronta divina che parte dall’uomo e abbraccia il creato, la politica, l’economia in una circolarità che genera vita, che non trascura i più deboli e insegna a prendersi cura con amore di tutti.