Commissione Formazione Formazione permanente Mario  

Umanità umile terzo incontro

Commissione formazione Ofs Regione Piemonte – Anno fraterno 2022-2023

Terzo incontro dell’anno “Umanità umile”

CONDIVIDERE LA GIOIA   di Fra Carlo Basile

Dalle origini del movimento francescano troviamo la sete di essere testimoni di Cristo al di là del mondo cristiano allora conosciuto. San Francesco d’Assisi, infatti, ha posto nella Regola un capitolo sui frati che vanno fra i saraceni e altri infedeli. Lo slancio missionario del fondatore – che intese il vangelo “alla lettera”- è tratto dal monito di Gesù, che manda i suoi discepoli a due a due ad annunciare il Regno di Dio.

Leggiamo dalla Regula non bullata al capitolo 16:

“Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe. Perciò quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i Saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che essi sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione. I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio, perché quelli credano in Dio Onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non rinascerà per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. Queste ed altre cose che piaceranno al Signore possono dire ad essi e ad altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli.”

 

Qui Francesco d’Assisi espone essenzialmente i criteri del proprio progetto missionario. Tra tanti spunti che emergono dalla lettura di questo testo, sono soprattutto due quelli che paiono più interessanti: la gradualità con cui Francesco propone di fare l’annuncio di fede e la disponibilità al dialogo. Il cammino per arrivare alla fede è graduale e Francesco lo sa bene per esperienza. Il modo più efficace per avvicinare il non cristiano è per lui quello di rendere visibile la verità del messaggio evangelico in una vita che con autenticità accolga e metta in pratica il Cristo amore. Questa testimonianza di vita cristiana, nel rifiuto di ogni orgoglio e senso di superiorità, deve svilupparsi sulle tracce di quanto ci suggerisce l’apostolo Pietro nella sua Prima Lettera: “siate sottomesse ad ogni istituzione umana per amore del Signore” (1 Pt 2,13).

Mentre da un lato il missionario è invitato ad adeguarsi agli usi e costumi del popolo presso il quale è ospitato, imparando ad apprezzarne tutti i valori positivi per poi utilizzarli nella predicazione, dall’altro i missionari sono invitati alla disponibilità nei confronti di tutti senza sentirsi superiori e giudicare, disposti ad accettare anche umiliazioni ed offese. Tale testimonianza farà sorgere un interrogativo spontaneo: ma perché tu vivi così? A questo punto ” confessino di essere cristiani “, dice Francesco. Solo nel momento in cui “l’altro” si rende disponibile liberamente, il missionario può passare all’annuncio della fede cristiana nel suo contenuto dottrinale.

[…[Ciò comporta da un lato lo sforzo missionario di divenire reale testimone della fede nel concreto della vita quotidiana e dall’altro l’impegno affinché il messaggio cristiano possa innestarsi nelle singole culture con una mediazione che ne colga e valorizzi gli elementi positivi. Fede vissuta nella radicalità e rispetto dell’uomo a cui è rivolto l’annuncio: questi i due cardini della proposta missionaria di Francesco. Forte comunque deve restare la coscienza che chi converte è lo Spirito Santo, che, mentre ci chiede di impegnarci come se nella diffusione della fede tutto dipendesse da noi, invita tuttavia ad operare con il cuore sereno di chi sa di essere nella obiettiva condizione del “servo inutile”, che tutto dipende da Dio solo. Senza la pretesa di misurarne i frutti.

 

IL MONDO COME LUOGO TEOLOGICO di Maria Felicia Della Valle

 

Il Concilio Vaticano II chiarisce l’immagine dei fedeli laici. Essi non sono povera gente alla quale non si può chiedere di più, né dei fedeli di seconda categoria che si lasciano giacere nel sonno accontentandoli del semplice appellativo di fedeli. Il fedele laico fa parte della Chiesa. Infatti essa è presente nel mondo contemporaneo proprio attraverso i laici. In virtù di ciò per fare in modo che la presenza dei laici non sia solo numerica è necessario che questi siano ciò che devono essere (cfr. G. Lazzati Vivere la fede… AVE ed. 1997).

[… ]  il fedele laico è discepolo di Cristo a partire dai sacramenti e in forza di essi. Da questo dono divino di grazia nasce il triplice munus (dono e compito), che qualifica il laico come profeta, sacerdote e re, secondo la sua indole secolare. E’, dunque, compito proprio del fedele laico annunciare il Vangelo con un’esemplare testimonianza di vita, in tutte le realtà umane secolari, personali e sociali. Ricorda Infatti la Lumen Gentium al n. 33: “i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. […  ] E’ fondamentale che i fedeli laici comprendano che essi sono chiamati a coltivare un’autentica spiritualità laicale, che li rigeneri come uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Una simile spiritualità edifica il mondo secondo lo spirito di Gesù.

[…] i laici devono fortificare la loro vita spirituale e morale, maturando le competenze richieste per lo svolgimento dei propri doveri sociali, poiché, nell’esperienza del credente,  non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta “spirituale”; e dall’altra la cosiddetta “secolare ” (cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa).

È quindi necessario che il fedele laico prenda sempre più consapevolezza della propria vocazione attraverso un itinerario di formazione e discernimento che, orientandolo alla santità, gli faccia percepire che il luogo teologico in cui egli è chiamato a farsi santo è il mondo. Non a caso la Lumen Gentium al n.11 afferma “tutti i fedeli di ogni stato e condizioni sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste”.

Papa Francesco nella esortazione apostolica Gaudete et exsultate (nn. 14-15) ricorda: “per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così tutti siamo chiamati a essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. 

[…] Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio, sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita”. Dunque nessun indugio, nelle diverse situazioni il laico sappia coraggiosamente passare “dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo” (Regola Ofs art. 4).

 

GIORGIO LA PIRA: PROFETA DISARMATO  di Francesco Lanzillotta

Sentendo il nome “Giorgio La Pira”, subito alla mente balzano due appellativi: Firenze e sindaco Santo.

Modello di laico francescano, Giorgio La Pira incarnava con l’impegno nel mondo le parole del profeta Isaia: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: regna il tuo Dio ” (Isaia 52,7). Perché i suoi piedi, in senso fisico e spirituale insieme, muovevano verso coloro che avevano più bisogno, verso i più piccoli, verso le periferie sociali, annunziando innanzitutto il Regno di Dio e la sua pace. Il richiamo che Dio fa a Geremia “Non dire sono giovane, ma va’ da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che ti ordinerò” (Geremia 1,7) lo portò a dialogare con tutti coloro che incontrava, credenti e non credenti,  ebrei e musulmani, mettendo al centro della sua azione il motto Paolino “spes contra spem” (la speranza contro ogni speranza).

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